Inibitori di PI3K nella cura del carcinoma mammario: quando una mutazione diventa bersaglio
Nicola Fusco
Divisione di Anatomia Patologica, Istituto Europeo di Oncologia (IEO)

Le 3 fosfatidilinositolo-3-chinasi (PI3K) rappresentano una famiglia di enzimi in grado di trasferire gruppi fosfato da molecole donatrici di energia come l’ATP a substrati specifici, in un processo chiamato fosforilazione (1). Queste chinasi sono coinvolte in svariati meccanismi legati alla proliferazione, crescita, sopravvivenza, motilità e metabolismo cellulare (Figura 1) (2).
Nel carcinoma mammario, mutazioni attivanti dell’oncogene PIK3CA possono essere riscontrate in circa il 40% delle pazienti con malattia ormono-positiva (HR+)/HER2 negativa, sia in setting precoce che in casi di tumore metastatico (Figura 2) (3). Queste mutazioni determinano l’attivazione di una specifica isoforma di PI3K, la PI3Kα (4). È importante notare come anche eventi genetici inattivanti nei geni oncosoppressori che regolano l’attività di PI3K, in primis il gene phosphatase and tensin homolog (PTEN), possono portare all’attivazione aberrante di questa via (5).
L’influenza di queste aberrazioni molecolari sulla storia clinica delle pazienti con tumore al seno non è ancora del tutto chiarita. Se da un lato mutazioni di PIK3CA nelle neoplasie in stadio precoce HR+/HER2- è associata a una migliore sopravvivenza libera da recidiva e una migliore sopravvivenza libera da malattia, nei casi con diagnosi di tumore metastatico le mutazioni PIK3CA sembrano portare a una certa resistenza alla chemioterapia e conseguente prognosi peggiore (6). Nel caso del carcinoma mammario HER2+, le mutazioni di PIK3CA sembrano essere associate a prognosi peggiore, sia in fase avanzata che in fase iniziale. Inoltre, la via metabolica di PI3K è stata descritta come potenzialmente legata a fenomeni di resistenza alla terapia endocrina nel carcinoma mammario HR+. In ogni caso, alla luce del ruolo cruciale che PI3K svolge nella tumorigenesi delle neoplasie mammarie, nonché dell’elevata percentuale di pazienti che presentano alterazioni nell’oncogene PI3KCA, esiste una forte logica nel colpire terapeuticamente questa via metabolica, in particolare nel tumore al seno HR+.
L’approvazione del primo inibitore specifico del PI3Kα (alpelisib) amplia l’arsenale disponibile per il trattamento di pazienti con carcinoma mammario (6). Lo scorso maggio, il Comitato per i Medicinali per Uso umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha raccomandato la concessione dell’autorizzazione all’immissione in commercio di alpelisib compresse per il trattamento del carcinoma mammario localmente avanzato o metastatico, da utilizzare in combinazione con la terapia endocrina endovenosa fulvestrant per il trattamento delle donne in post-menopausa, e degli uomini, con carcinoma mammario HR+/HER2-, PIK3CA-mutato a seguito di progressione di malattia nelle pazienti precedentemente trattate con mono-terapia endocrina.
L’efficacia di alpelisib è stata verificata nello studio SOLAR-1, uno studio randomizzato su 572 donne in post-menopausa e uomini con carcinoma mammario HR+/HER2-, avanzato o metastatico, progredito dopo o durante il trattamento con un inibitore dell’aromatasi (7). I risultati dello studio hanno mostrato come, nei pazienti con tumori con mutazione PIK3CA, l’aggiunta di alpelisib a fulvestrant prolunghi in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione (da 5,7 a 11 mesi di mediana).
L’importanza di stabilire con precisione lo stato mutazionale PIK3CA per selezionare le pazienti con tumore al seno per il trattamento con alpelisib + fulvestrant è pertanto chiara. Infatti, solo le pazienti i cui tumori presentano mutazioni PIK3CA possono avere un beneficio clinico da questa terapia. Test CE-IVD basati su real-time (RT)-PCR hanno dimostrato una grande accuratezza e riproducibilità, sia su tessuto che su biopsia liquida. Questi test vanno ad analizzare 11 regioni hot-spot nei domini C2, elicoidale e chinasi di PI3K (esoni 7, 9 e 20) (8). La procedura prevede che il DNA venga amplificato selettivamente dopo essere stato estratto dal tessuto tumorale mammario o dal plasma anticoagulato e poi sottoposto a RT- PCR. Si tratta di una procedura relativamente rapida, che può produrre risultati in meno di due giorni lavorativi. Per questo tipo di analisi sarà essenziale ottimizzare specifiche procedure di laboratorio.
Sono stati necessari sforzi enormi e ricerche estremamente raffinate per dimostrare finalmente che PI3K è un importante bersaglio terapeutico in un sottogruppo di tumori al seno. Gli studi iniziali con inibitori del pan-PI3K hanno aperto la strada identificando la popolazione target di tumori aberranti PI3K e la necessità di una combinazione con la terapia endocrina, ma la loro mancanza di specificità era associata a una tossicità sostanziale che ne limitava l’uso nella pratica clinica. Lo sviluppo di inibitori PI3K specifici dell’isoforma α è stato in grado di superare alcuni dei problemi precedenti. Tuttavia, i tassi non trascurabili di riduzione della dose e interruzione della terapia riportati con alpelisib sottolineano la sfida associata all’inibizione sistemica a lungo termine di PI3Kα nella pratica clinica attuale. Anche l’impatto della precedente inibizione del CDK4/6 sull’efficacia di alpelisib è ancora sconosciuto. L’interazione della via PI3K merita lo studio di ulteriori indicazioni per questi farmaci, tra cui combinazioni con inibitori CDK4/6, anti-HER2, immunoterapia e inibitori PARP, potenzialmente fornendo un ruolo futuro nella gestione del carcinoma mammario triplo negativo e HER2+.
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