Gli ultimi aggiornamenti dal virtual meeting dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO)
Matteo Fassan, Nicola Fusco

Nacchio M, Sgariglia R, Gristina V, Malapelle U. KRAS mutations testing in non-small cell lung cancer: the role of Liquid biopsy in the basal setting. J Thorac Dis. 2020 Jul;12(7):3836-3843. doi: 10.21037/jtd.2020.01.19.
La medicina di precisione, basata sulla valutazione di biomarcatori predittivi di risposta al trattamento, ha confermato di avere un ruolo da protagonista al virtual meeting di quest’anno dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), mostrandosi ulteriormente in grado di trasformare la pratica clinica nel prossimo futuro.
In questo contesto, l’impiego upfront del sequenziamento genico di nuova generazione (NGS) a fini diagnostico-terapeutici risulta preferibile rispetto alle tecnologie convenzionali in considerazione della maggiore specificità e sensibilità di metodica, in particolar modo nel setting clinico-sperimentale del tumore polmonare non a piccole cellule (NSCLC) avanzato. In un poster presentato da Nathan Pennell, una strategia di ultra-deep sequencing condotta mediante pannelli estesi di NGS mirati ad un’analisi più ampia di geni (EGFR, ALK, ROS1, BRAF, RET, MET, NTRK) confrontata con un single-gene testing (EGFR e ALK) si è rilevata vantaggiosa in termini di costi ed efficacia. Difatti, un’ampia profilazione genomica in questo setting di malattia ha mostrato un aumento nel guadagno di anni di vita ed una riduzione dei costi, rendendo altresì possibile individuare eventuali alterazioni geniche suscettibili di bersaglio molecolare altrimenti non identificate.
Sempre in merito al setting metastatico della malattia NSCLC oncogene-addicted, sono stati presentati i promettenti risultati dello studio di fase II VISION, volto ad indagare l’attività e la sicurezza di tepotinib in pazienti avanzati selezionati per la presenza della mutazione exon-skipping dell’esone 14 di MET. La mutazione nel sito di splicing esita nella perdita della trascrizione dell’esone 14 del gene MET, responsabile di una ridotta degradazione della proteina recettoriale e di una conseguente incrementata attività oncogenetica. Con un follow-up di almeno nove mesi, tepotinib è stato somministrato a 99 pazienti la cui diagnosi di positività della mutazione era consentita sia su biopsia liquida (più specificatamente su DNA tumorale circolante, ctDNA) sia su tessuto tumorale, mostrando una proporzione di risposte obiettive (ORR, endpoint primario dello studio) pari al 48% su ctDNA ed al 50% sul tessuto tumorale. La durata mediana della risposta (DOR) e la sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana sono risultate pari a 11.1 e 8.5 mesi, rispettivamente, con eventi avversi severi (in particolare, edemi periferici) correlati al trattamento nel 28% dei pazienti ed un discontinuation rate nell’11% dei pazienti trattati. Dunque, qualche settimana dopo l’approvazione di capmatinib da parte della Food and Drug Administration (FDA), anche tepotinib dimostra di essere un farmaco attivo e sicuro nei pazienti NSCLC con mutazione skipping dell’esone 14 di MET.
Per quel che riguarda le novità inerenti la malattia NSCLC avanzata non-oncogene addicted, il ruolo del carico mutazionale di malattia (tumor mutational burden) su plasma (bTMB) come biomarcatore predittivo di risposta all’immunoterapia di prima linea ha evidenziato esiti contrastanti: difatti, se nel MYSTIC trial il trattamento di combinazione a base di durbalumab e tremelimumab aveva precedentemente mostrato di migliorare la OS nei soli pazienti selezionati con bTMB ≥ 20 mutazioni/megabase (studio peraltro negativo per i sue due co-primary endpoints di sopravvivenza nella popolazione PD-L1 ≥ 25%), dalle analisi esploratorie dello studio KEYNOTE-189 emerge invece come un vantaggio statisticamente significativo in termini di risposta e sopravvivenza in favore dell’associazione di pembrolizumab e chemioterapia a base di platino sia indipendente dal bTMB.
Parimenti attesi e discussi in sessione plenaria i dati dello studio randomizzato di fase III ADAURA, che ha mostrato un significativo aumento della sopravvivenza libera da malattia (DFS) in favore di osimertinib versus placebo nei pazienti con diagnosi di NSCLC non-squamoso sottoposto a resezione chirurgica radicale con mutazioni sensibilizzanti comuni di EGFR. Il 90% dei pazienti trattati con osimertinib è risultato vivo a 2 anni senza recidiva versus il 44% del braccio controllo con placebo. Nel sottogruppo dei pazienti in stadio II-IIIA, la riduzione del rischio di recidiva e di morte è stata dell’83% nel braccio sperimentale, senza tossicità inattese. In attesa di risultati più maturi in termini di sopravvivenza globale (OS), osimertinib si eleva quindi a nuovo standard practice-changing nella malattia operata EGFR-mutata.
Per quel che riguarda la patologia colorettale invece, sono stati presentati i risultati dell’analisi intermedia dello studio KEYNOTE-177, uno studio randomizzato di fase III in cui un trattamento di prima linea con l’inibitore di PD-1 pembrolizumab ha mostrato di raddoppiare la PFS mediana rispetto allo standard of care costituito da chemioterapia +/- bevacizumab o cetuximab (16.5 vs 8.2 mesi, rispettivamente) nei pazienti affetti da carcinoma colorettale metastatico (mCRC) con elevata instabilità microsatellitare/deficit del mismatch repair (MSI-H/dMMR). Sappiamo come quest’ultima sia una peculiare caratteristica molecolare, spesso associata a mutazioni germline di geni codificanti per delle proteine del MMR nella Sindrome di Lynch in grado di causare l’insorgenza di un alto tasso di mutazioni disperse lungo il genoma umano, in particolare a carico dei microsatelliti (corte sequenze nucleotidiche mono-, di- e tetra-nucleotidiche, intra o extra geniche), le cui alterazioni sono rilevabili come “instabilità” anche in circa il 5% di pazienti mCRC sporadici, in cui si la chemioterapia convenzionale risulta di ridotta efficacia. 307 pazienti mCRC MSI-H/dMMR naïve ad ogni trattamento sono stati randomizzati a ricevere pembrolizumab (200 mg trisettimanale per un massimo di 35 cicli in 2 anni) e nel braccio di controllo uno dei sei diversi regimi chemioterapici standard (mFOLFOX6 o FOLFIRI bisettimanale +/- bevacizumab o cetuximab), mostrando altresì un aumento del tasso di ORR (43,8% vs 33,1%) ed una DOR oltre i 2 anni (83% vs 35%) con un miglior, seppur diverso, profilo di tossicità in favore del trattamento sperimentale a base dell’inibitore di PD-1. Pertanto, pembrolizumab si propone ora come nuovo standard terapeutico in questo setting di pazienti, in attesa di risultati più maturi di OS e di armonizzazione delle metodiche per l’identificazione dello status di MMR/MSI con ruolo predittivo terapeutico già dalla prima linea di trattamento avanzato.
Relativamente alla malattia HER2-mutata, dopo il recente FDA fast approval per il trattamento del carcinoma mammario metastatico pretrattato, trastuzumab deruxtecan ha mostrato di portare ad un miglioramento clinicamente e statisticamente significativo dei tassi di ORR e di controllo di malattia nel tumore gastrico, NSCLC non-squamoso e colorettale metastatici già pretrattati, come si evince dai risultati aggiornati degli studi fase II DESTINY. Da notare come questo anticorpo farmaco-coniugato, costituito da un anticorpo monoclonale specifico per il recettore HER-2 legato tramite un linker tetrapeptidico clivabile ad un payload citotossico a base di inibitore della toposimerasi I, permetta la diffusione trans-membrana intercellulare dell’antiproliferativo anche in presenza di bassa espressione di HER-2, dato molto interessante soprattutto in caso di eterogeneità di espressione del recettore.
L’oncologia di precisione si è mostrata una strategia efficace anche nel setting pediatrico alla luce del trial INFORM (INdividualized Therapy For Relapsed Malignancies in Childhood), uno studio multicentrico prospettico non interventistico che ha evidenziato l’effettivo vantaggio dell’approccio targeted in questa popolazione di pazienti. Gli autori del registro hanno condotta un’ampia caratterizzazione molecolare (whole genome sequencing, exome sequencing, RNA-sequencing, analisi di espressione genica e di metilazione) sul tessuto di 526 pazienti pediatrici affetti da diversi istotipi tumorali a prognosi sfavorevole e/o recidivati/refrattari, definendo un livello di priorità dell’opzione terapeutica a bersaglio molecolare da “very high” a “very low” in base ad un algoritmo che teneva in considerazione l’esistenza di alterazioni “druggable” (maggiormente mutazioni puntiformi di ALK e BRAF, e fusioni di MET e NTRK) e mostrando un vantaggio significativo in PFS (3 mesi) nel sottogruppo “very high”. Pur considerando l’esigua dimensione del campione ed il mancato vantaggio in OS, questi risultati sono particolarmente rilevanti se si considerano la rarità e l’eterogeneità delle patologie oncologiche pediatriche, spesso orfane di trattamenti efficaci mirati.
Nell’ottica della crescente personalizzazione della terapia, i risultati del registro americano TAPUR (Targeted Agent and Profiling Utilization Registry) confermano in real-world come l’inibitore della poli ADP-ribosio polimerasi (PARP) olaparib sia efficace e sicuro nel trattamento di tumori caratterizzati da mutazioni dei geni BRCA1/2. TAPUR, il primo studio interamente promulgato e condotto da ASCO su una popolazione statiunitense, è un basket trial che raggruppa diversi istotipi tumorali avanzati senza opzioni terapeutiche standard rimanenti con specifiche alterazioni geniche a prescindere dalla sede di localizzazione. Nelle due sottoanalisi presentate con mutazioni inattivanti dei geni BRCA1/2, il trattamento con olaparib si è associato ad un controllo di malattia per almeno 16 settimane nel 68% dei pazienti con tumore prostatico e nel 31% dei pazienti con tumore del pancreas. Considerando che non tutte le mutazioni di BRCA siano uguali (a differenza di quelle bialleliche, le alterazioni monoalleliche possono esitare in un recupero della funzione del gene mutato in eterozigosi come fenomeno di resistenza secondaria), nella pratica clinica potrebbe sussistere un beneficio differenziale tra i vari inibitori di PARP a seconda del tipo di mutazione coinvolta e, ad ogni modo, il rilevamento di una mutazione patogena della linea germinale in un gene rivestirebbe un ruolo fondamentale nell’orientare gli individui e i loro parenti verso screening su misura e strategie di riduzione del rischio.
Nel contesto della terapia di donne affette da tumore mammario metastatico con recettori ormonali positivi e mutazione di PIK3CA pretrattato s’inseriscono invece i risultati della coorte A del trial BYLieve. Lo studio in aperto di fase II ha centrato il proprio obiettivo primario raggiungendo una PFS a sei mesi per la combinazione di alpelisib e fulvestrant nel 50,4% delle 121 pazienti PIK3CA-mutate incluse nel trial. Con un beneficio clinico (risposte parziali + stabilità di malattia) evidenziato nel 62% dei pazienti ed un discontinuation rate di circa il 20% nella popolazione intention-to-treat, il trattamento di combinazione si è rivelato efficace e sicuro anche quando confrontato con dati real-life di altre 95 pazienti pretrattate in un’analisi ponderata dello studio.
Per concludere, l’espressione di un biomarcatore predittivo ha recentemente mostrato di guidare un importante beneficio clinico anche nel tumore uroteliale avanzato. Infatti, i risultati del trial JAVELIN Bladder 100 hanno sottolineato come una terapia di mantenimento con l’inibitore di PD-L1 avelumab dopo un trattamento chemioterapico di induzione aumenti significativamente la OS dei pazienti rispetto alla sola terapia di supporto, soprattutto nel sottogruppo di pazienti positivi all’espressione di PD-L1 in cui il dato medio non è stato ancora raggiunto. Ad ogni modo, una simile strategia di mantenimento si è rivelata sicura e vantaggiosa anche in termini di PFS sia nel campione totale che nei pazienti PD-L1 ≥1%.
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